DICK, Philip K. – Il Cacciatore di Androidi (Blade Runner) (1968).
“Dovunque andrai, ti si richiederà di fare qualcosa di sbagliato. È la condizione fondamentale della vita essere costretti a far violenza alla propria personalità. Prima o poi, tutte le creature viventi devono farlo. È l’ombra estrema, il difetto della creazione; è la maledizione che si nutre della vita. In tutto l’universo.”
Anno 2019 , Los Angeles. Una guerra devastante ha messo in ginocchio il pianeta terra in preda a frequenti piogge di polvere radioattiva. Il mondo è ormai diviso fra esseri umani, altri esseri detti “speciali” (in realtà esseri umani con deficit psichici in seguito alle conseguenze della polvere radioattiva) ed androidi – detti “replicanti” – di diverse generazioni di volta in volta più sofisticate (l’ultima è il modello Nexus 6) indistinguibili dagli esseri umani, la cui origine è verificabile solo attraverso sofisticati test psico-cognitivi (l test Voigt-Kampff ).
I replicanti vengono utilizzati come schiavi sulle colonie di Marte ed hanno una vita breve, in media quattro anni prima di disattivarsi, in altri termini morire. Rick Deckard, il protagonista della storia, fa parte di una unità di polizia addetta a “ritirare” – uccidere – i modelli che, in un modo o nell’altro, si ribellano. I suoi compiti però si complicano quando lo mandano alla caccia di un gruppo di androidi scappati da Marte dopo essersi ribellati ai loro padroni umani ed averli uccisi: si trattava di elementi prossimi alla “scadenza” che non accettavano il loro destino, vorrebbero vivere quanto gli umani. Dopo la loro fuga, i sopravvissuti del gruppo si mescolano agli esseri umani cercando nel frattempo di risolvere il problema della loro “disattivazione” a tempo, fallendo nel tentativo: nemmeno il loro creatore, scopriranno, è in grado di aiutarli. I replicanti. semplicemente, desideravano vivere ma anche questo loro minimo desiderio gli sarà negato.
Oltre al genio di Dick nel confondere realtà e finzione, creare un mondo decadente molto simile, nelle sue caratteristiche consumistiche, a quello contemporaneo, di descrivere l’umanità sempre più preda di credenze mistiche che alla fine si riveleranno fasulle, riesce in maniera esemplare a rendere gli androidi esseri per certi aspetti migliori degli esseri umani, seppur descritti come privi di empatia… il tema della ribellione degli schiavi è uno dei motivi conduttori del film e del romanzo. Schiavi replicanti ma anche esseri umani degradati al ruolo di “speciali” detti anche “teste di gallina” o di “formica”, per il loro quoziente intellettivo danneggiato irrimediabilmente dalle radiazioni.
Proprio J. Isidore, uno degli speciali, sarà l’unico a prestare aiuto ai replicanti in fuga, in un anelito di solidarietà istintiva che unisce i perseguitati, gli schiavi e gli emarginati:
“È vero, signor Baty – replicò Isidore. – Ma a me, cosa importa? Voglio dire, io sono speciale. Neanch’io sono trattato molto bene. Per esempio, non posso emigrare. – Si ascoltò mentre parlava, e percepì la sua ansia, la precipitazione. – Voi non potete venire sulla Terra, ed io non posso… “
[…] – Sei un grand’uomo, Isidore – dichiarò Pris. – Sei un vanto, per la tua razza.”
La differenza fra la versione cinematografica ed il racconto forse sta nel sottolineare con forza il tema “umanista” relativo agli androidi in fuga che vogliono solo vivere; nel racconto, invece, il tema della ribellione degli schiavi/androidi, seppure più sfumato, dove talvolta i replicanti appaiono freddi e calcolatori, dove la trama è densa di aspetti mistico-filosofici, viene comunque a galla piano piano, a tal punto che lo stesso Deckard si innamora di un replicante donna rimanendone colpito e non riuscendo ad eliminarla (la donna poi avrà la sua rivincita finale).
L’unico gesto empatico in un mondo artificiale dove persino gli stati d’animo sono regolati da una speciale apparecchiatura (il modulatore di umore Penfield) rendendo l’essere umano anch’esso poco più che una macchina: è l’amore per gli animali che, ormai rarissimi, diventano poco a poco semplicemente uno status symbol e non più una creatura di cui prendersi realmente cura. Tant’è vero che i negozi di animali/elettrici o meglio di animali/androidi hanno più fortuna di quelli che vendono animali veri.
In questa decadenza etico-morale, gli androidi sembrano essere gli unici a mostrare caratteristiche realmente umane, non foss’altro per la voglia di vivere e per la solidarietà che si instaura fra loro.
La lotta di classe che si manifesta con la ribellione, l’amore per la vita dimostrato da esseri che di umano non dovrebbero aver nulla, emergono con forza in tutto il romanzo ma soprattutto nel film, che segue binari a volte paralleli e distaccati dal racconto originale (il famoso monologo finale di Roy Baty /Rutger Hauer nel romanzo è inesistente), che però sottolinea con forza il tema della ribellione al padrone da parte di schiavi dalla vita “precaria” ma di intelligenza superiore. Infine anche il mondo di Deckard, disilluso da una religione fasulla (il Mercerismo, fondato da Wilbur Mercer il quale si rivelerà infine solo un attore cinematografico che interpreta il ruolo del Dio/Profeta), prostrato dal senso di colpa dovuto all’empatia con le sue vittime, si dissolverà pian piano… come lacrime nella pioggia.
Flavio Figliuolo